in risposta alle parole di monsignor Paolo Rizzi, a proposito di Teresio Olivelli, ribelle antifascista, pubblichiamo le osservazioni elaborate da Mario Albrigoni, ANPI Provinciale Pavia, e Guido Magenes e Marco Savini, ANED Pavia.
Leggiamo con rincrescimento, e anche con una certa perplessità, le dichiarazioni di monsignor Rizzi che, secondo noi, non rendono merito, pienamente, allo spessore umano, oltreché cristiano, di Teresio Olivelli. Distinguere in Olivelli, in modo rigido, dove finisce il credente e dove comincia il ribelle antifascista è una operazione, questa sì “ideologica” che, ci scusi monsignor Rizzi, ne falsa la memoria.
Così come è “ideologico” affermare che la Chiesa non intende “dare giudizi su questi periodi storici [fascismo e resistenza] entrambi non privi di contraddizioni e di elementi discutibili dal punto di vista cristiano”. Questo cosa significa? Forse che “fascismo” e “resistenza” sono esperienze storiche che, in fondo, agli occhi del credente, rivolti verso l’eterno, finiscono con l’equivalersi? Possono, forse, essere equivalenti l’affermazione del valore assoluto della dignità umana, e la sua negazione violenta, nel nome di una “razza” superiore? Il credente non vive la propria fede fuori, o al di sopra, della Storia. E’ nella Storia che la sua fede si incarna. E’ nella concretezza dell’agire storico che la sue fede si fa scelta morale, culturale e, anche, politica.
Non diversamente da tanti della sua generazione, cresciuti in regime di dittatura, e addestrati a credere obbedire e combattere, Olivelli, dopo una iniziale adesione al fascismo, compì la propria scelta, e scelse di farsi ribelle per combattere un regime che offendeva e negava la dignità e la libertà, materiale e immateriale, di ogni persona, donne o uomini, laici o credenti, di fedi diverse e di diverse classi sociali. E fu la sua scelta finale di opposizione strenua al nazifascismo, a favore della libertà e della dignità umana (sì, scelta profondamente radicata nella sua grande fede cristiana), a condurlo, alla fine, nel lager.
Non diversamente da tanti della sua generazione, cresciuti in regime di dittatura, e addestrati a credere obbedire e combattere, Olivelli, dopo una iniziale adesione al fascismo, compì la propria scelta, e scelse di farsi ribelle per combattere un regime che offendeva e negava la dignità e la libertà, materiale e immateriale, di ogni persona, donne o uomini, laici o credenti, di fedi diverse e di diverse classi sociali. E fu la sua scelta finale di opposizione strenua al nazifascismo, a favore della libertà e della dignità umana (sì, scelta profondamente radicata nella sua grande fede cristiana), a condurlo, alla fine, nel lager.
Jorge Semprun, superstite di Buchenwald scrive: “Nei lager l’uomo diventa un animale capace di rubare il pane di un compagno, di spingerlo verso la morte. Ma nei lager l’uomo diventa anche un essere invincibile capace di condividere fino all’ultima cicca, fino all’ultimo pezzo di pane, fino all’ultimo respiro, per sostenere i compagni”. Teresio Olivelli ha indubbiamente trovato nella fede cristiana la forza per “diventare invincibile”, ma ciò non dovrebbe portare a negare o sminuire il suo ruolo di protagonista della Resistenza.
Ci rendiamo conto che alcuni passaggi della intervista di Monsignor Rizzi sono probabilmente scaturiti in reazione a una domanda certamente mal posta, ovvero se la beatificazione di Olivelli “possa essere venire presentata come una beatificazione della Resistenza”. Tuttavia, le dichiarazioni di Monsignore dalle quali sembrerebbe quasi che la Chiesa voglia mantenere una sorta di equidistanza dal fascismo e dalla Resistenza, per di più in nome del Vangelo, sorprende e riempie di amarezza molti ex resistenti ed ex deportati, credenti e non. Non è stato un mero accidente il fatto che il martirio di Teresio Olivelli sia avvenuto in un lager nazista, né è stato un mero accidente che la sua santità si sia manifestata in modo così palese e indimenticabile soprattutto in quegli ultimi mesi della sua vita dedicati prima all’opposizione attiva e concreta al nazifascismo, poi alla testimonianza dei valori umani e cristiani nell’inferno del lager. Non pensiamo sia possibile spezzare in due l’anima e il cuore del ribelle Teresio Olivelli, quando la scelta cristiana dell’estremo sacrificio a favore del prossimo coincide, secondo noi, con la scelta della piena umanità: restare umani è più importante che restare vivi. Questo ci ha insegnato, con il suo sacrificio, Teresio Olivelli.
Mario Albrigoni (ANPI Provinciale Pavia)/Guido Magenes e Marco Savini ( ANED Pavia)
29 giugno