Internati e Renitenti

Le vicende legate all’8 settembre 1943, portarono a due nuove forme di repressione politica e di intensificazione della deportazione nei confronti degli italiani che si opposero al nazi-fascismo.
Gli Internati Militari Italiani (Italienische Militär-Internierte – IMI) fu il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’Armistizio di Cassibile (8 settembre 1943). Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l’arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari” (per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra), e infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori pesanti senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti.
L’insediamento in Nord Italia della Repubblica di Salò portò, a seguito della volontà da parte dei fascisti di creare una forza militare a fianco dei tedeschi, a questa nuova forma di repressione. Renitente alla leva è chi non si presenta alla chiamata del servizio militare di leva. Il fenomeno della renitenza fu particolarmente consistente durante la Repubblica di Salò ed alimentò le fila dei partigiani. I diversi bandi (particolarmente noto il famigerato Bando Graziani) della repubblica sociale rivelavano il disagio del governo fascista di fronte ad una situazione ingestibile: la mancata risposta alla chiamata alle armi delle classi 1923-1925 comportava la pena di morte per i renitenti, ma aveva sortito un effetto opposto a quello sperato dal regime di Salò, su 180.000 giovani in età di leva, solo 87.000 si erano presentati ai distretti.  Chi non rispondeva alla chiamata si nascondeva in rifugi di fortuna, saliva in montagna o si aggregava alle formazioni partigiane, i rastrellamenti oltre che a debellare i partigiani puntavano a recuperare renitenti e operai da inviare in Germania.
Uno di questi fu Ermes Testori, giovane vigevanese, probabilmente sbandato dopo l’8 settembre, che finisce i suoi giorni al campo Zwichau dopo essere stato impiegato come lavoratore forzato in una fabbrica tedesca.

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