Teresio Olivelli – intervista pubblicata su “La Provincia Pavese”

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di seguito si riporta il testo dell’intervista rilasciata, il giorno 25 giugno 2017, dal monsignor Paolo Rizzi, postulatore della causa di beatificazione di  Teresio Olivelli al giornalista Umberto De Agostino de “La Provincia Pavese”:

MORTARA. «Teresio Olivelli fu “ribelle per amore”: con la beatificazione sarà riconosciuta la santità non del partigiano Olivelli, ma del cristiano Olivelli». La precisazione arriva dal mortarese monsignor Paolo Rizzi, postulatore della causa di beatificazione del Venerabile Teresio Olivelli. Rizzi, che in Vaticano è “officiale” (funzionario) della Segreteria di Stato di Sua Santità, parla del percorso personale di Olivelli, i cui mesi nei lager nazisti erano stati ricostruiti mediante testimonianze dei sopravvissuti raccolte già negli anni Cinquanta da monsignor Carlo Allorio, vescovo di Pavia, monsignor Luigi Dughera, parroco della basilica mortarese di San Lorenzo, e monsignor Rocco Invernizzi, zio di Olivelli e arciprete di Tremezzo.

Monsignor Rizzi, lei crede che la beatificazione di Olivelli possa venire presentata come una “beatificazione” della Resistenza?
«Alcuni settori della società civile, in passato, lo hanno strumentalizzato e anche oggi alcuni vorrebbero farne “il santo della Resistenza”. Se si ammettesse ciò, altre realtà potrebbero a loro volta definirlo “il santo del fascismo”, ma è scorretto rinchiudere Olivelli e la sua santità entro questi schemi. La Chiesa, proclamando beato Olivelli non esalta né l’uomo del fascismo, in cui ha operato per tre anni, né l’uomo della Resistenza, ove ha operato per cinque mesi. Non intende approvare o dare giudizi su questi periodi storici entrambi non privi di contraddizioni e di elementi discutibili dal punto di vista cristiano».

Perché Olivelli non si è mai voluto definire “partigiano”, ma “ribelle per amore”?
«Perché è stato per tutta la vita il difensore dei deboli anteponendo il Vangelo a ogni logica umana e a ogni ideologia: è stato perseguitato e ucciso prima per la diffusione di un umanesimo cristiano nell’ambito resistenziale, specialmente con il giornale “Il ribelle”, e poi per l’atteggiamento religioso e caritativo nei lager. Come i cristiani martiri di oggi, è stato martirizzato per la fede, da lui amata e dal carnefice odiata. Affermazioni o slogan del tipo “Sarà beato il ribelle per amore” o “Il primo partigiano proclamato beato” stridono con la biografia del personaggio e con il concetto di riconoscimento della santità di chi è stato anzitutto fedele discepolo di Cristo, disposto a immolarsi per la sua fede e per questi motivi proclamato Beato».

Olivelli in passato era conosciuto prevalentemente per la sua esperienza al fianco della Resistenza cattolica. Oggi invece?
«Purtroppo da alcune parti si è enfatizzata in modo ideologico l’esperienza resistenziale, che è una delle diverse esperienze significative di Olivelli, ma non la sola. Il personaggio Olivelli come pure la sua testimonianza cristiana non si esauriscono né tanto meno s’identificano nel suo impegno nella Resistenza, peraltro anomalo e per certi versi controcorrente, come lo era stato nel fascismo. Olivelli è stato di più e altro. Dall’inizio della causa nel 1987 e poi con la Venerabilità, grazie allo sforzo pastorale del vescovo di Vigevano Maurizio Gervasoni, Teresio è conosciuto soprattutto per la sua testimonianza evangelica e per lo straordinario profilo spirituale che lo contraddistingue come un confessore martire della coscienza morale cristiana».

Come interpreta dunque il riconoscimento del martirio?
«Un’occasioneper mettere finalmente in luce ed evidenziare l’acme della testimonianza cristiana di Olivelli, cioè il periodo di nove mesi trascorsi nei lager nazisti, dove ha dato fulgida prova di vivere la fede e la carità, fino al completo dono di sé».