“Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] Rimane vero che, in Lager e fuori, esistono persone grigie, ambigue, pronte al compromesso. La tensione estrema del Lager tende ad accrescerne la schiera.” Tratto da: I sommersi e i dannati – Primo Levi
La deportazione italiana si presenta come politica, con al suo interno vari soggetti (dai vecchi antifascisti ai partigiani combattenti, dai soldati rastrellati sui vari fronti – internati – ai renitenti, dai collaboratori del movimento partigiano sino agli esponenti dell’antifascismo esistenziale) e quella razziale, composta da ebrei italiani e stranieri. Anche vigevanesi e lomellini sono stati deportati.
Molte vicende delle vittime della deportazione sono state ricostruite in base a una molteplicità di documenti, ma soprattutto grazie alle carte raccolte dal Centro Ricerche della Croce Rossa che ha l’archivio più importante del mondo sulla deportazione presso la cittadina tedesca di Arolsen (50 milioni di documenti, su 17 milioni di deportati in 7 mila luoghi di detenzione, per un totale di 25 km).
L’Archivio con la sua massa di informazioni, è stato prezioso per la ricostruzione dell’identità biografica dei deportati.
Tutto in base a fonti naziste, cioè in base alla documentazione prodotta negli uffici dei lager, mettendo a tacere ogni tentativo negazionista.
La deportazione nei lager rimane una ferita aperta, profonda e ancora sanguinante, per chi l’ha vissuta e per chi ritiene che un simile abominio non si debba più ripetere. Affievolendosi man mano la voce dei sopravvissuti, potremo raccoglierne il testimone con gli strumenti della storia?