2 Giugno 2020 – 74 anniversario della nascita della Repubblica Italiana

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In questa ricorrenza la seziona Anpi di Vigevano presenta il seguente filmato “Il 2 giugno e dintorni”

A giugno si affollano anniversari importanti per la storia italiana e anche vigevanese. Settanta quattro anni fa la prima volta del voto femminile, la scelta della Repubblica al referendum del 2 giugno 1946 e, nella stessa data, l’elezioni dei membri della Costituente.
Dopo una battaglia che si può far risalire in Italia all’inizio del secolo scorso, le elezioni amministrative del 1946 furono la prima occasione di voto per le donne.
A Vigevano caddero il 7 aprile. Secondo” l’Informatore vigevanese” del 12 aprile di quell’anno ci fu “un afflusso quasi totale degli elettori”. Dopo 25 anni dalle precedenti consultazioni democratiche maschili, fu eletta un’unica donna, Noemi Tognaga, nelle fila del PCI.
Dopo pochi giorni fu eletto sindaco Attilio Bonomi, sempre del PCI. Dalla fine della guerra il comune era stato retto da una giunta provvisoria del CLN diretta da Francesco Garbarini.
Poche settimane dopo, un altro test elettorale mise alla prova la capacità di voto delle donne, per così tanto ritardata e ancora da più parti temuta. Il 2 giugno ci fu il voto sul referendum su Monarchia e Repubblica e per la designazione dell’Assemblea Costituente.
A Vigevano la scelta per la Repubblica prevalse con quasi il 70%: 20.448 voti contro 7.516.
 Alla Costituente, a livello nazionale furono elette 21 donne su 556 membri.
A Vigevano si ebbe il seguente risultato: PCI 10.501 voti, CDR (Partito d’Azione) 360, DC 7.028, PRI 99, Uomo Qualunque 862, UDN (crociani) 642, PSIUP 8.336.
Questi i dati, ma se si volesse abbozzare una riflessione su queste scadenze elettorali che videro impegnati i nostri concittadini nella primavera di 70 anni fa, dopo il Ventennio di negazione della democrazia, si potrebbe partire proprio da una rilettura della nostra storia.
Si avverava il progetto politico di Mazzini che aveva immaginato una Italia repubblicana, con una Costituente e una Costituzione democratica nata dalla volontà del popolo. Tutto ciò era stato reso possibile non dall’azione politica dei partiti ma da quel grande processo storico denominato Resistenza. Il significato più profondo della scelta partigiana, in un’Italia e in un mondo dilaniati da una guerra mondiale, fu questo: porre fine alla separazione tra governanti e governati, assumere su di sé, a rischio della propria vita, la responsabilità della partecipazione a un progetto politico democratico, realizzare quello che era stato l’auspicio di Matteotti.  Nel suo ultimo discorso alla camera, rivolgendosi ai fascisti e a Mussolini, Matteotti aveva concluso: “Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. (…) Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto.” I partigiani rivendicarono il dovere e il diritto di lottare in prima persona per costruire un’Italia diversa, democratica e solidale. Basterebbe ripercorrere la storia delle repubbliche partigiane per capire l’importanza del laboratorio politico partigiano. Oppure rileggersi le ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza per comprendere la portata della svolta e le sue novità. Scriveva agli amici il giovanissimo partigiano Giacomo Ulivi prima di morire: “Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di specialisti. Duro lavoro che ha le sue esigenze, e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questi dicevano (…) Ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente. Questa ci ha depredato, buttato in un’avventura senza fine, e questo è il lato più roseo. Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la posizione morale, la mentalità di molti di noi. Credetemi, la cosa pubblica è noi stessi. (…) No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere.”
Parole davvero straordinarie e ancora attualissime. Ulivi aveva solo 19 anni ma aveva capito tutto e ci dice: state attenti, pretendete di capire, non credete a promesse vaghe, acquisite gli strumenti politici per partecipare. Lottate contro l’idea dell’uomo del destino, della politica come luogo per le èlites, della retorica del bene pubblico, della falsa idea di un partito che potrà risolvere tutti i problemi senza nessuna possibilità per i cittadini di controllare quello che fa. E Matteotti ci dice: la democrazia funziona solo se i cittadini la fanno funzionare e non se i partiti governano senza tener conto dei diritti dei cittadini, poiché i partiti sono al servizio dei cittadini e non viceversa e, nel caso della legge Acerbo che dava un premio di maggioranza al partito con più voti, ci mette in guardia. Attenzione! Nella democrazia le minoranze non devono essere mandate a casa, altrimenti tutto diventa fragile, pericoloso. Chi governa senza render conto a nessuno finisce col trasformare la democrazia in democrazia formale. Oppure, come nel caso del fascismo, può arrivare a una dittatura. Ecco la grande lezione della Resistenza, una lezione difficile perché basata su una visione della politica morale e partecipativa. Una lezione tante volte denigrata da coloro i quali non vogliono un confronto con la popolazione ma vogliono un’Italia addomesticata e pronta a piegare il capo di fronte a qualsiasi decisione presa dagli organi di potere. Una lezione da meditare e da continuare, approfondire e realizzare. Non da abbandonare.