Noemi Tognaga, una vita dedicata all’insegnamento e all’antifascismo

Si è spenta nella questa mattina all’età di 95 anni Noemi Tognaga, per quasi trent’anni Segretaria della sezione cittadina dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.).

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La ricordiamo come insegnante e come una delle figure di spicco dell’antifascismo vigevanese. Negli anni del regime fascista collaborò attivamente con il locale Comitato di Liberazione Nazionale.
Nel 1945 si iscrisse al Pci dove continuò la sua attività politica, e fu l’unica donna ad essere eletta, nelle file del PCI, in consiglio comunale a Vigevano, nelle elezioni amministrative del 7 aprile 1946, che rappresentarono la prima occasione di voto per le donne.
La sua salma si trova presso la Sala del Commiato dell’Asm di Vigevano, dove domani (martedì) dalle ore 18 alle ore 19 si svolgerà una veglia funebre. Mercoledì alle ore 9 il rito funebre laico.
Al figlio Giovanni ed ai familiari un forte abbraccio.

donne resistenti

Un ricordo…

Noemi Tognaga (1922-2017), oltre ad essere stata per tantissimi anni segretaria dell’ANPI di Vigevano, è stata importantissima perché ha gestito il periodo tra i partigiani combattenti, tra cui il suo compagno Walter Gregorio (1920-1986), e le generazioni dei nati dopo la guerra. Sempre disponibile a incontri con gli studenti, ci ha lasciato anche video-interviste che metteremo sul sito dell’ANPI locale.
È stata la prima donna a entrare nel consiglio comunale di Vigevano. Spesso ci ricordava che, dopo una battaglia che si può far risalire in Italia all’inizio del secolo scorso, le elezioni amministrative del 1946 furono la prima occasione di voto per le donne. A Vigevano caddero il 7 aprile, dopo 25 anni dalle precedenti consultazioni democratiche maschili, Noemi fu un’unica donna eletta, nelle fila del PCI.
Un esempio dell’apertura dell’ANPI, di cui è stata pioniera, è stata la sua proposta di nominare come presidente di Francesco Soliano, a cui è dedicata la nostra sezione, nonostante non avesse combattuto tra i partigiani in montagna, ma con gli alleati.
E come non ricordare i contatti che teneva con altre ANPI, che hanno fruttato diverse pubblicazioni. Noemi, con lungimiranza ha pensato di donarle alla biblioteca civica, che così ha una sezione di libri sulla Resistenza, alcuni dei quali introvabili.
E come non ricordare, ancora, la sua pubblicazione del 2004 “Donne della Lomellina nella Resistenza”, nella quale valorizzava figure femminili poco note e accomunava alle resistenti le deportate. Sicuramente le avrebbe fatto piacere sapere che il prossimo 19 gennaio poseremo come ANPI e ANED una “pietra d’inciampo” a un’altra maestra come lei, Anna Botto, per ravvivarne la memoria.
Al contrario speriamo non abbia saputo dei recenti rigurgiti di fascismo: dal dileggio dell’immagine di Anna Frank, ai saluti romani durante le partite di calcio.
Proprio in un’altra triste occasione simile: quando avevano imbrattato di svastiche la sala Leoni, si era spesa tantissimo per farle cancellare e, grazie soprattutto ai consiglieri Guarchi e Cividati, per far inserire sul sito internet del comune schede informative sulla Resistenza a Vigevano. Purtroppo ora non sono più presenti, ma che come ANPI locale stiamo recuperando.
Questi sono solo piccoli momenti e labili ricordi del suo impegni. A noi restano molti dei suoi consigli, dei suoi incitamenti, oltre naturalmente all’incredulità di non saperla più tra noi.
Grazie Noemi che ci hai accompagnato nella presa di coscienza dell’antifascismo e nel difficile percorso delle battaglie politiche.
A noi restano molti dei suoi consigli e delle sue idee, oltre naturalmente l’incredulità di non saperla più presente assieme a noi.
Voglio concludere dicendo a nome di tutti: “Grazie Noemi, che ci hai accompagnato della presa di coscienza dell’antifascismo e nel difficile percorso delle battaglie politiche.

Inoltre due suoi interventi:

Prima intervista

Seconda intervista

Per ricordare Noemi, riportiamo un’intervista sul suo libro sulle donne resistenti in Lomellina:

Com’era la situazione alimentare?
Noi avevamo le tessere, ti davano delle tessere così e ti davano a seconda del lavoro che facevi: per i lavori pesanti c’erano, mi pare, due etti di pane al giorno, ma il pane era fatto con una farina che c’erano dentro i piselli, la crüsca, tutta farina che pesava non so come e certa gente, soprattutto industriali e quelli che avevano soldi… la farina c’era, c’era anche la farina di riso… io mi salvavo col riso perché mia sorella era la moglie di Ornati della riseria, mi salvavo col riso, se no non c’era niente. Tu pensa che quando si andava a pescare… che andavano a pescare pescavano i pesciolini, quei pesciolini lì piccoli che una volta si facevano fritti, si facevano scottare nell’acqua, bollire… nell’acqua con dentro i profumi, la salvia eccetera, poi li tiravi fuori ci mettevi l’aceto, perché di olio non ce n’era e quindi ci mettevi l’aceto. Ti davano il tuo coso d’olio una volta al mese, mi pare, ti davano un pezzettino… un salamino da cuocere, ai capi famiglia però. L’importante che mancava il sale, l’importante era il sale per noi che non si trovava e allora tu andavi… c’era lo scambio: venivano quelli di Genova che portavano il sale che loro facevano con l’acqua di mare e tu gli davi… -si sono arricchiti i gambolesi con la borsa nera!- vendevano le patate al metro quadro, non ti tiravano fuori le patate, dovevi andar tu a scavare le patate e se eri fortunata potevi avere un chilo di patate medie se no ne avevi una grossa e basta. Ricordo che mio padre è andato per questi genovesi che ci avevan portato il sale, che avevamo conosciuto al mare, di Pegli, è andato a prendere un sacchetto di fagioli, sopra c’era la mostra di fagioli intieri, sotto erano tutti fagioli con l’insetto dentro, eran tutti camolati, ma non li han buttati via, eh, li mettevano a bagno tiravano via quelle cose e si mangiava anche quello (…)

E gli ex-prigionieri inglesi e alleati?
Erano verso la Sforzesca, lì c’erano altre persone, qualcuno l’hanno fatto espatriare: c’era la sorella di Zimonti, li tingeva col lucido da scarpe, tingeva i capelli perché erano magari biondi… e li portava fuori sul treno, li ha sempre portati…

C’era un’organizzazione?
C’era quell’organizzazione lì, che era fatta dal quartiere di corso Milano, perché invece il quartiere di corso Torino li mandava in Oltrepò. A corso Torino dove c’era mio cognato, che era uno dei fondatori del PCd’I, Giuseppe Gregorio…

Anche gli ex-prigionieri inglesi?
Sì attraverso Mortara e attraverso “Remo”, Lombardi, loro avevano la possibilità. Ma non si fidavano mica troppo. Avevan paura che questi qui… intanto quando venivano a casa tua tu non è che potevi dare da mangiare la polenta e basta questi se c’era una salamella che serviva a tutti, prima se la servivano loro, loro erano abituati ad avere il comando delle cose. Disprezzavano un po’ indirettamente gli italiani, infatti non è che si meritassero molto, non questi qui che si davano da fare, ma quelli di prima non è che si meritassero molto. Ci trattavano tutti come se fossero fascisti

E dove li nascondevano?
Nei boschi del Ticino, molti verso la Sforzesca, e lì c’era quella partigiana (…) una ragazza di vent’anni che faceva questo lavoro e avvisava gli inglesi che si nascondevano nelle buche con un cagnolino… lei andava col suo cagnolino: -Diana, Diana, Diana!- loro sapevano che dovevano nascondersi, perché erano sempre nelle cascine ad aiutare a tagliare il fieno. Si chiamava Rosa ed è morta ai primi di agosto del ’45 per tifo, aveva ventun’anni. Mi sembra sia una donna da ricordare, perché una donna così giovane, l’avevano imprigionata perché lei aveva avvisato suo fratello che era renitente alla leva e fatto scappare. Questa qui era stata imprigionata per suo fratello, poi si era interessato il sindaco di Gambolò e l’avevano tirata fuori, però era stata in prigione e mi sembra una donna da ricordare, ma non l’ha mai ricordata nessuno.

È importante anche questa resistenza senza armi…
È importantissima, perché la resistenza con le armi… – io non l’ho mai avuta un’arma in mano – quando tu hai un’arma in mano ti sembra di poterti difendere, ma se tu non ce l’hai… Io quando andavo qualche volta, non sapevo di avere uno davanti armato e uno dietro, non li conoscevo neanche (…) mi facevano da guardia del corpo.

Avevi raccontato di quella donna che portava i volantini…
Sì, quella donna lì abitava in corso Torino ed era più politicizzata, perché come sindacato… aveva un fratello, era più vecchia di me, se fosse qui avrebbe più di 100 anni e portava i volantini – poi ha continuato anche dopo la Liberazione, era lei che portava Il Calendario del Popolo, aveva tutto lei in mano- e diceva un operaio che non sa leggere e non conosce lavora come una bestia. Era brava, Torti si chiamava, aveva un fratello (…) C’era qualcuno che glieli portava alla stazione, poi lei aveva un cappotto che si imbottiva, con una fodera che si staccava e cuciva non so come, era arrivata che c’era l’oscuramento e lei abitava in corso Torino dopo la caserma dei tedeschi e se c’era l’oscuramento l’avrebbero fermata e allora è arrivata lì dove c’erano i carabinieri, che si trovavano lì dove c’è adesso il tribunale (…) s’è rivolta ai carabinieri: -Io sono andata a curare una mia parente che è ammalata – me l’ha raccontata lei – ha il figlio in guerra, eccetera, ho fatto tardi, ho paura io a mettermi in corso Torino – Loro hanno detto: -Non si preoccupi l’accompagniamo noi – l’hanno accompagnata loro, era imbottita di stampa, di stampa clandestina. Lei ha detto più che mettermi in mano a questi qui, i carabinieri cosa sanno di me? Non sanno niente!- L’han portata a casa eh! (…)

E tu eri a Vigevano quando hanno ucciso Giovanni Leoni? Come ha reagito Vigevano?
Una giornata muta, hai sentito proprio un silenzio (…) silenzio e poi l’odio, la popolazione non ne poteva più, specialmente le donne non ne volevano sapere più di guerra, poi è successo di quella bambina che so mama l’iva ligiü su quei giornali lì… -aveva il papà che era andato in guerra volontario, era un vigile, e faceva come i tedeschi… prima c’è la patria, poi c’è la mamma e poi c’è la moglie, difatti ha fatto così, ha lasciato la moglie con sta bambina piccola di tre o quattro anni ed è andato volontario (…) – la mamma aveva letto sul giornale per fare il sapone e aveva messo una scodella con la soda caustica e il latte per fare la saponetta. Dava meno razione alla bambina, che non aveva ancora quattro anni, perché fino a quattro anni davano un quarto di latte al giorno, tirava via tre o quattro cucchiai per poter poi fare la saponetta con il latte e la soda caustica, la bambina è passata di lì ha visto che c’è la scodella del latte ha bevuto ed è morta. E anche quello è stato per le donne una cosa… una cosa… -Finiamola con ‘sta guerra!- (…)

E il mondo del lavoro, c’erano tante donne nelle fabbriche, gli uomini erano via…
E sì, se tu prendi l’Ursus c’erano le orlatrici, che facevano… a un bel momento se dicevano : -No!- era no, e hanno fatto la lotta… credo che abbiano fatto anche uno sciopero per avere l’aumento della razione di pane. La loro lotta sempre con qualche cosa di concreto, me ne accorgo adesso, non lo facevano solo con il fine di fare finire la guerra, ma la loro lotta, gli scioperi li collegavano a qualche cosa di concreto: o l’aumento di paga, o l’aumento della razione del pane, o la minestra da portare a casa tutti i giorni, perché poi ci avevano fatto la minestra in fabbrica, eh. Le fabbriche grandi… e le fabbriche piccole credo che avessero il quid per la minestra che non avevano (…)

Qualche donna che a Vigevano ha patito per il fascismo…
La Mastronardi, quello che lei ha fatto lo ha fatto tutto per i figli, guarda che è stata tutto il periodo di guerra senza mangiare pane, se la gh’ìva un tuchetin ad pãn agh la purtiva cà par i so fiö, era una donna che si dava da fare anche per la differenza tra i bambini handicappati e quelli no, già allora aveva quella cosa lì, aveva insegnato a una mutolina, mi sembra, lei era direttrice didattica anche, non solo maestra, sapeva cucire.

Ma all’interno della scuola era presa di mira per il marito…
Guai il marito quando si spostava un gerarca lo mettevano dentro e lei l’andavano a prendere e usciva da scuola. Lei diceva: -Il direttore mi lascia fare perché ho dei figli da crescere- poi lei era cattolicissima (…) Maria Pistoia Mastronardi ha fatto tutto per la sua famiglia, per i suoi figli, non è che abbia fatto… non poteva neanche, tant’è vero che dai suoi registri figura che lei faceva le lezioni di fascismo – del resto l’ho fatto anch’io: ho preso, quando facevo la maestra i primi anni, ho preso una specie di bigino tutti i giorni c’erano le lezioni che dovevi fare, io non facevo altro che trascrivere di netto dal bigino al registro, e non facevo niente (…) da me è venuto in visita un direttore in orbace!

Nella scuola italiana i ragazzi sono cresciuti come balilla e piccole italiane…
Io perché sono cresciuta con il dubbio? Perché avevo un padre antifascista, che quando io mi sedevo davanti al suo deschetto per studiare, io mettevo un pezzo di cartone poi facevo i teoremi, tutte quelle cose lì, e lui mi diceva: -Ma tu studi storia, ma ti parlano di Matteotti o no?- Io dicevo: –Lasm astà!- Chiudevo le orecchie – Non mi imbottire la testa!- Però… mi inoculava il dubbio, io andavo lì e mi chiedevo: -È la verità quello che mi dicono o devo dubitare del mio libro di testo, del libro e delle cose…?- Ed è importantissimo il dubbio perché ti fa venire il senso critico. Son stata fortunata.

E parlando di un’altra maestra, la Anna Botto faceva anche lei parte di questa organizzazione per gli ex-prigionieri?
Lo faceva lei personalmente, era in contatto con una panettiera dei Piccolini che si chiamava Chiave, ed era questa che mandava i prigionieri. Non ho più bene in mente ma mi sembra che una figlia di questa qui aveva sposato un sottoufficiale, e questo era sparito dopo l’8 settembre e quindi lei era legata a queste cose qui. Quante donne, per esempio la Rosa Tach in montagna, era lei che portava i ricercati in Svizzera, si metteva il suo sciué andava attraverso i prati e sapeva dove andare. Siccome aveva un figlio che era venuto dalla Sicilia, era alpino e lei era riuscito a farlo entrare in Svizzera, l’aveva portato lei, invece l’altro era ancora in Yugoslavia… diceva: -Quello che io faccio per quei poveri cristi lì, magari il bene mio figlio lo riceve in Yugoslavia- Invece il figlio della Yugoslavia era morto e il figlio che era andato in Svizzera, tre giorni dopo la Liberazione è annegato. Tutti e due i figli morti. Quindi non è vero che tu puoi trovare riscontro, lo fai perché hai sempre la speranza che quello che faccio per gli altri magari me lo ritrovo, mi viene ritornato, ma non è così, non sempre è così (…)

Noemi ci spieghi il significato del tuo libro sulle donne lomelline
L’ho fatto proprio come ricordi e riflessione

Cosa ti ha ispirato come mai ti sei decisa?
Perché non ne parlavano mai delle donne. Le donne attraverso la resistenza che han fatto, resistenza consapevole hanno ottenuto il diritto al voto altrimenti nessuno gliel’avrebbe dato. Anche i nostri comandanti là… io per esempio non ho avuto un foglio che dice ha fatto questo e questo… mentre gli altri solo il fatto che han fatto la guerra hanno avuto dieci anni di abbuono, noi non abbiamo avuto niente. Non è per avere qualcosa, ma per avere il riscontro di quello che hai fatto. Mi hanno messo in consiglio comunale come rappresentante delle donne e poi non mi lasciavano parlare… A parte che volevo cambiare il mondo e non sapevo com’era… (episodio dei preservativi) perché gliel’ho sempre rimproverato a mia mamma, sono andata in tempo di guerra a fare la maestra in Val d’Aosta credendo che i figli nascessero dall’ombelico. Puoi immaginare una cosa del genere: mi mandate in giro per il mondo per lavorare ma… meno male che c’era la guerra non c’era nessuno c’erano solo i vecchi, ma se ci fosse stato un giovane che mi fosse piaciuto potevo portare a casa dieci figli! Se non sapevo niente! E volevo cambiare il mondo, figurati!

E qualche altra donna che hai messo nel libro…
Una donna che per me era una grande donna era la Zanoletti, era una bellissima donna, mi sembra che fosse del 1903 e suo marito era anche lui o di un anno di meno. Questa qui quando ha saputo che c’era una lista che dovevano ammazzare suo marito, lei ha preso… ha venduto tutto, poi si è fatta prestare anche dei soldi e sono andati su in montagna e sono andati in Svizzera. Prima sono scappati da Moscatelli e poi, aveva due ragazzi giovani: il Beppe mi sembra che sia del ’25, la Carla del ’29. Aveva due ragazzi giovani… Il Beppe voleva andar su (a fare il partigiano) ma lei: -Cosa lo mando su che non sa di niente- e allora li ha portati via e mi diceva: -Ma sai cosa vuol dire avere il terrore che ti scoprono e aver lì due figli da crescere e farli crescere in pace?- Infatti la Carla ha sposato un fascista, il figlio di un federale. (…)

E tornando a tuo padre…
Io, grazie a mio padre con tanti sacrifici, ero arrivata al mio socialismo: avevo in mano un pezzo di carta [diploma magistrale] che mi faceva lavorare senza avere la disoccupazione senza niente e ad emergere… ho sposato un operaio, sono andata avanti con quello che pensavo io, mi sembra molto importante.

E cosa ci sai dire di chi ha aiutato il medico ebreo Leone Rudich?
(…) Lui era giù qui a Vigevano che faceva il medico all’ospedale. Credo che dal ’38, dopo le leggi [razziali] lui era andato in un posto che facevano i tacchi, un posto qui a Vigevano, come si chiamava… un tacchificio e aveva lasciato le dita di una mano, due o tre dita sotto una macchina, allora quella lì, la padrona del tacchificio, che era il suo medico di prima, l’ha aiutato a stare nei boschi, prima l’aveva aiutato a stare in una cascina giù dalla Buccella. Lui era sposato proprio con una ebrea, osservante, prima aveva avuto un maschio, poi due femmine (…) Il 25 luglio l’avevano portato in trionfo. Io ero a Vigevano e ho visto Rudich sul palco. C’era il palco piantato lì perché c’era la banda, no, in piazza ducale, l’han portato in trionfo l’han portato là. Come dire adesso non ci sono più le leggi razziali (…)

E non è che qualcuno si è esposto?
Quei giorni lì gli antifascisti di Vigevano Zanoletti, Leoni, han parlato dal palco e Buttieri che era un cattolico antifascista e han fatto parlare anche Rudich. Sì ha parlato ma era talmente emozionato che… era la popolazione di Vigevano che diceva: -Noi ti accettiamo, noi siamo contro le leggi razziali-. Era l’unico ebreo che c’era a Vigevano

(…)

Cosa volevi come donna dopo il fascismo?
Abbiamo obbligato poi avere le scuole per tutti, non solo le elementari, e poi abbiamo fatto le “150 ore”, abbiam fatto tante cose che altrimenti non c’erano. Sai cosa vuol dire leggere un giornale e capirlo. Ü importante. Poi c’era quello che era intelligente e quello che non lo era, perché quello che era intelligente si faceva da solo, attraverso il giornale (…) Pietro Ingrao lo dice chiaro. Volevamo anche noi la luna, è vero. Io volevo cambiare il mondo, volevo che le donne sapessero… non sapevano neanche… non passavano sotto i panni stesi quando erano incinta perché mettevano al mondo col cordone ombelicale al collo, ma c’era un ignoranza che… una che aveva avuto tre figli –scusa se parlo terra terra- diceva con me , era moglie di un falegname: -Io quando vado con mio marito, poi vado al servizio faccio la pipì e mi lavo e sono a posto- Ma come se è un altro buco!- C’era un’ignoranza! E ti tenevano apposta ignoranti: -Se sono ignoranti trainano il carretto- E le donne dovevano essere ignoranti. Poi a poco a poco, ma la difficoltà che ho avuto io, per esempio volevo che ci fosse la riunione delle donne che lavoravano a casa, a domicilio: -Io non voglio far vedere che lavoro a casa- (…) Non sapevano neanche come son fatte, rimanevano incinta senza sapere perché, ma scherziamo…

Se dovessi fare una riflessione conclusiva…
Per me che sono donna è stata una liberazione, nel senso che ho capito che dovevo far crescere le donne e dovevo combattere con gli uomini, perché eran dei maschilisti certi, non c’era niente da fare (…) le loro mogli le tenevano a casa chiuse. Mio padre diceva: -Fino a quando ci saranno quegli uomini lì, per voialtre non ci sarà la libertà.

Ma la guerra e la Resistenza hanno voluto dire molto..
Per me sì, sono stati i giorni migliori della mia vita, perché avevi una speranza in un futuro, che non c’è stato, ma avevi la speranza in un futuro che fosse tutto cambiato, tutto onesto… non ne parliamo. Anche per le donne, perché se cresce una donna cresce anche l’uomo che c’è insieme, eh! (…) Volevamo la luna, volevo la luna anch’io.